Un brano che ha fatto la storia del punk. Singolo estratto dall’album “Mondo Bizarro”, pubblicato nel 1992. Il testo si apre a differenti interpretazioni, che passeremo a descrivere.

Ad una prima lettura, il testo narra di un bambino indifeso che si muove al ritmo della batteria senza mai ridere o sorridere. Il complesso sembra essere impostato come un dialogo, dove la voce del narratore, quella del protagonista e quella di un terzo interlocutore di cui non conosciamo l’identità si intersecano in un dialogo che ci permettere di riflettere sul nostro essere e sulle idee che gli altri hanno circa i nostri rapporti con il mondo esterno.

“Helpless child, going to walk a drum beat behind”

La voce del narratore descrive il ragazzo come piccolo e indifeso, mentre la fragilità sembra essere l’”etichetta” ingiustamente attribuitagli dal mondo a lui circostante. Forse è proprio quando nessuno si fida di noi, quando nessuno pensa che noi possiamo sopravvivere, che diventiamo “deboli”. Non una debolezza fisica, ma sul piano psicologico. Una debolezza derivata dall’impossibilità di esprimersi. Ed è in quel momento che instauriamo un dialogo con noi stessi, cercando quello sfogo che non ritroviamo negli altri. La voce di cui non conosciamo l’identità, invece, che viene introdotta dalle parole

“Ti ho imprigionato in un sogno, non ti lascio mai andare”,

ci permette di capire come l’interiorità del protagonista lo renda prigioniero. Incapace di esprimersi, di affermarsi in un mondo che lo ritiene inferiore. A questo punto interviene la prospettiva razionale del ragazzo, ma emozionale allo stesso tempo. “Voglio solo andarmene da questo mondo, perché tutti hanno un cuore di veleno”

Il bambino, che rappresenta la genuinità dentro di noi, vuole andarsene, negando il suo corpo e desiderando sparire, poichè tutti nutrono scarsa stima di lui. Tutti, nel profondo, desideriamo fuggire. Forse solo per vergogna, mancanza di valorizzazione, o tristezza. Una tristezza profonda, coltivata dagli altri ma nutrita da noi, che riflette una non capacità di espressione, forse abilità dimenticata e repressa nel corso del tempo. Nel momento in cui ci leghiamo alle cose materiali, perdiamo quella stima verso noi stessi, senza ricordare che la nostra vita è il vero tesoro. L’approvazione degli altri può elevare o, allo stesso tempo, degradare la visione che abbiamo di noi. Diventiamo dipendenti dall’opinione altrui, ci assuefacciamo all’apprezzamento di chi non ci conosce, poichè l’unica persona a conoscerci realmente siamo noi stessi. Amiamo la vita, così com’è, senza guardare al cuore di veleno di chi ci sta intorno. La voce del ragazzo dice:

C’è un pericolo dietro ogni angolo ma io sto bene”.

Questo ci rivela come il protagonista sia in realtà in armonia con se stesso. Niente sembra scuoterlo. Questo può essere un bene o un male. L’apatia è quello che ci distrugge, annullando i sentimenti. La vita è fatta di influenze, un contesto sistemico che ci circonda. Il lasciare che tali influenze entrino dentro di noi può rovinarci, disgregando un’idea pregressa sviluppata circa i nostri pregi e difetti. E’ fondamentale ricordare come sia importante mantenere la nostra autocritica, senza raggiungere l’apatia o l’atarassia, senza distruggere chi siamo. Il ragazzo è l’esempio del cittadino di oggi, un “animale sociale” che si sente dipendente dagli altri ed impotente. Impotente di fronte alla critica altrui, d’innanzi al commento negativo. Tutti siamo portati a comportarci come un’unica massa, mentre colui che riteniamo un “povero”, un “senzatetto” può rivelarci molto su di noi, può essere un amico con cui confidarsi.


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